«Tutta colpa dell’ONU? È solo una foglia di fico» | Intervista al Presidente Riccardo Sessa – di Franco Cattaneo, L’Eco di Bergamo, 1° giugno 2025

«Tutta colpa dell’ONU? È solo una foglia di fico»
Intervista all’Ambasciatore Riccardo Sessa, Presidente della SIOI – di Franco Cattaneo, L’Eco di Bergamo, 1° giugno 2025
“Accusare l’ONU e il multilateralismo di tutti i mali del mondo è come sparare sulla Croce Rossa”. L’Ambasciatore Riccardo Sessa, Presidente della SIOI (Società Italiana per l’Organizzazione Internazionale, membro per l’Italia dell’Associazione delle Nazioni Unite), va al cuore del problema: “Le Organizzazioni internazionali sono e fanno solo ciò che gli Stati membri, e in particolare i più forti, vogliono che esse siano e che esse facciano. Così funzionano, o meglio non funzionano, quelle organizzazioni e più in particolare i loro meccanismi decisionali, a partire dal Consiglio di Sicurezza”.
Da tempo l’Onu è sotto il tiro incrociato delle critiche
“La vulgata dell’ONU che non funziona è la foglia di fico della coscienza delle governance mondiali. Pensiamo alle immani tragedie dei conflitti in corso, in specie in Ucraina e a Gaza, ed alla mancanza di ogni credibile prospettiva di una fine. La responsabilità non è delle Nazioni Unite, che pure sono state tirate per la giacca ben sapendo che i veti incrociati avrebbero impedito un loro coinvolgimento. Le Nazioni Unite nascono il 26 giugno del 1945 per il mantenimento della pace e della sicurezza, il rispetto del diritto internazionale e la composizione pacifica delle controversie internazionali. Obiettivi che, guardandoli oggi, mostrano un fallimento. Eppure in un’infinità di situazioni i risultati ci sono stati: l’ONU, con le sue agenzie specializzate, ha svolto e svolge un’immensa e preziosa attività in favore di milioni di persone. Certo, la condizione è che gliela lascino fare”.
Il problema principale è il Consiglio di Sicurezza (CdS)?
“Direi piuttosto la sua composizione. L’ONU nasce con 51 membri che ora sono 193. L’Assemblea generale è la sede in cui si dovrebbero esprimere le scelte degli Stati. In realtà, l’organo decisionale è il Consiglio di Sicurezza composto da 15 membri, di cui 10 ruotano periodicamente e 5 sono permanenti (Cina, Francia, Regno Unito, Russia e Stati Uniti) con diritto di veto su qualsiasi argomento, potendo quindi bloccare qualsiasi decisione. Il problema è tutto qui. Quei 5 stati sono i vincitori della Seconda guerra mondiale e ne sono la fotografia e l’eredità. Quella situazione oggi, ma già sin dalla Guerra Fredda, non ha più senso. L’Italia dalla metà degli anni ’90 cerca di modificare la composizione del CdS per renderlo più rappresentativo, ma le iniziative della nostra diplomazia, pur avendo raccolto un crescente consenso, non sono riuscite a superare vari blocchi. La dice lunga sulle possibilità di un cambiamento”.
Una questione di governance, in sostanza
“Sì, perché qualsiasi decisione del CdS deve ottenere l’approvazione dei 5 “Grandi”. Ecco perché non è onesto attribuire ogni colpa all’ONU quando uno Stato può bloccare gli altri 192! La questione investe le capacità o meno della governance del mondo di gestire i cambiamenti, e non è un caso che oggi si parli apertamente di crisi di governance, dietro la quale si deve riconoscere che c’è un deficit di leadership, con la comunità internazionale che ha perso la sfida più grande: costruire un mondo di pace. Siamo ritornati dove eravamo partiti, e viviamo nelle stragi e nelle macerie, non solo materiali. Nel 1945 gli statisti di allora, tra i quali il nostro De Gasperi, avvertirono la necessità di una nuova fase, ricostruttiva e consensuale, di relazioni internazionali basata su uguaglianza, dialogo, rispetto e collaborazione internazionale. Dobbiamo smettere di illudere chi ci chiede aiuto e ritrovare quello spirito e quella visione con meno dichiarazioni e più azioni”.
Torniamo quindi al multilateralismo: vasto programma, vien da dire
“Le Nazioni Unite hanno favorito altre aggregazioni su base regionale e a composizione limitata, ma sempre all’insegna della cooperazione nel nome di valori condivisi – questa era la novità – per gettare definitivamente alle spalle secoli di confronto e di violenze. Basti pensare all’Alleanza Atlantica e alla Comunità poi Unione Europea. Altro che vasto programma! Una sfida enorme, raccolta da “giganti” che seppero superare le loro divisioni e guardare lontano. Lo spirito del multilateralismo deve rimanere alla base della convivenza internazionale, ma si deve avere l’onestà di riconoscere che il mondo è totalmente cambiato. Non c’è più un Nord e un Sud, né l’Est o l’Ovest, e io parlo di “mondo smontato”. Dobbiamo quindi ripensare non tanto il multilateralismo, quanto i meccanismi decisionali e le rispettive maggioranze per decidere, per renderli più efficaci. La palla è nelle mani degli Stati e di coloro che li governano”.
Rapporti fra Stati, dice lei, in un pianeta con nuovi protagonisti
“I nuovi protagonisti non sono in realtà del tutto tali. Molti già c’erano, basti pensare ai processi, accompagnati dalle Nazioni Unite, della decolonizzazione, o dello scioglimento dell’Unione Sovietica e della Jugoslavia. Da quegli anni i nuovi rapporti tra gli Stati, che erano aumentati ed aspiravano a contare, hanno progressivamente alterato gli equilibri nati dopo la fine della guerra. Al tempo stesso, e nell’illusione/volontà di poter gestire più efficacemente i problemi derivanti dalla crisi di crescita della comunità internazionale, i Grandi occidentali inventarono dei formati ristretti di consultazione. Nel ‘76 a Rambouillet, vicino Parigi, su iniziativa del presidente francese Giscard d’Estaing, nacque il G5, poi G6. L’Italia era stata inizialmente esclusa, e fu la nostra diplomazia a far capire alle cancellerie occidentali l’assurdità di quella esclusione. Poi arrivò il G7 e il G8, tornato a 7 dopo l’esclusione della Russia di Putin, e nel Duemila il G20. Tutti questi formati selettivi – non si perde mai la tendenza all’esclusione di qualcuno – hanno avuto un senso fino a quando i Paesi che ne facevano/fanno parte esprimevano una più o meno reale gerarchia dettata dal peso economico e geopolitico. Il pianeta però ha nel frattempo subito una trasformazione strutturale e si è avuta una redistribuzione della ricchezza e del peso geopolitico. Il G7 oggi ha obiettivamente una rappresentatività limitata, tanto che con la formula dell’outreach quando quel formato si riunisce il numero dei partecipanti è ben superiore. Inoltre, sta diventando sempre più rilevante una nuova aggregazione che in pochi hanno preso in considerazione, i BRICS (originariamente Brasile, Russia, India, Cina, poi Sudafrica e oggi in espansione) che rappresentano in un certo senso l’altra parte del mondo che non vuole essere esclusa e vuole contare”.
E allora?
“Bisogna avere il coraggio di fare delle scelte. Per noi significa più Europa, anche con una dimensione di sicurezza, e un rapporto sano con gli Stati Uniti. E poiché tutto si ripete, chiediamoci perché è nato un formato, i cosiddetti “Volenterosi”, che nuovo non è (Iraq 2003), che fotografa un diverso – ma è poi così diverso? – schema di gestire le crisi”.
Giugno 2025