Il diritto a sapere è di tutti: avanti tutta con il diritto alla conoscenza
Caso Regeni, Wikileaks e Panama Papers:
con il diritto alla conoscenza le cose sarebbero andate diversamente
Intervista a Radio Radicale
COS’E’ IL DIRITTO ALLA CONOSCENZA
Parliamo di un’iniziativa che nasce da una delle tante grandi idee e battaglie di Marco Pannella e che io personalmente e la SIOI abbiamo deciso di sposare in pieno: perché si tratta di fare un ulteriore passo avanti nella realizzazione dello stato di diritto, non per affermare cose nuove, ma per ribadire i principi fondanti della Carta delle Nazioni Unite.
Il “diritto alla conoscenza” è un diritto che spetta a tutti gli individui e che permetterebbe loro di conoscere perché gli Stati hanno fatto determinate scelte politiche. Basti pensare che l’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha affermato con assoluta chiarezza che tra i diritti fondamentali c’è il “diritto alla verità”, ossia il diritto di chi subisce una grave violazione dei diritti umani di conoscere le ragioni per le quali sono accaduti alcuni eventi.
IL CASO REGENI
E su questo, ad esempio, abbiamo davanti agli occhi il caso di Giulio Regeni: qui c’è una violazione orribile dei diritti umani, un atteggiamento a dir poco reticente di uno Stato sovrano, e soprattutto la non conoscenza – anzitutto per la madre del ragazzo – a conoscere come sono andati davvero i fatti, se ci sono dietro alcuni apparati dello Stato, e quali azioni si sono compiute per smascherali. Qui si parla di accountability, principio di cui Marco Pannella parla spesso, ossia di fare uscire allo scoperto la responsabilità di uno Stato.
PERCHE’ E’ UN DIRITTO UMANO FONDAMENTALE?
I tempi sono maturi per la presentazione di una forte iniziativa all’ONU – perché no, anche una risoluzione dell’Assemblea generale – in cui si integrino i principi fondamentali della Carta di San Francisco con il diritto alla conoscenza coniugato con il diritto alla verità.
Pensiamo, ad esempio, nei casi in cui uno Stato limita l’accesso ad internet, quando attraverso grandi inchieste giornalistiche si scoprono movimenti più o meno illeciti di capitali, o lo spionaggio tra alcuni Paesi alleati, come è avvenuto nel caso della CIA che spiava persino la cancelliera federale Merkel. Parliamo di azioni compiute dagli Stati i quali, sulla base del principio di conoscenza, dovrebbero assumersi a quel punto la responsabilità degli atti che da loro sono derivati.
DIRITTO ALLA CONOSCENZA E SEGRETO DI STATO
Ricordo diverse occasioni in cui, in qualità di ministro responsabile per l’Intelligence prima, e a capo del Copaco poi (oggi Copasir), ci occupammo di questo equilibrio tra il diritto alla conoscenza ed il segreto di Stato, che io ritengo perfettamente conciliabili. Certo, dipende dalle situazioni. Cito due casi. Nel caso Mitrokhin, ad esempio, pretendemmo che il governo di allora non mettesse il segreto di Stato, perché se determinati Paesi – allora l’Unione Sovietica – usavano servitori dello Stato, magari occidentali, per compiere atti di spionaggio, allora era giusto che prevalesse il diritto alla conoscenza dei cittadini. Tant’è vero che pubblicammo un rapporto completo al Parlamento in cui si facevano nomi e cognomi.
Se penso, invece, ad un altro caso in cui era stato coinvolto un agente segreto sotto copertura in una zona a rischio, be’ allora qui è logico che dobbiamo coprire con il segreto di Stato il nome di questa persona per tutelare la sua incolumità. Sono due casi in cui in uno prevale il diritto alla conoscenza, nell’altro il diritto alla vita.
PRESTO UN’AZIONE ALL’ONU
Moltiplicheremo le occasioni di presentazione di questo progetto, iniziando giovedì 7 aprile con un’iniziativa presso la SIOI. Ma sarebbe molto utile fare una presentazione analoga a New York presso la sede della nostra rappresentanza. Come abbiamo ricordato prima il ministero degli Esteri e della Cooperazione Internazionale ha voluto sostenere questo progetto, e se il rappresentante italiano alle Nazioni Unite volesse valutare questa iniziativa noi, nell’ambiente onusiano, potremmo far conoscere ancora meglio il progetto a quei Paesi stranieri che lo condividono e sono interessati a sostenerlo.
Sarà una battaglia dura, su questo non mi faccio illusioni, perché ci sono molti Paesi al mondo con democrazie incompiute e sistemi autocratici veri e propri, in cui l’idea di una diritto pieno alla conoscenza non è largamente condivisa. Ma se penso al successo che proprio all’ONU abbiamo ottenuto sulla questione delle mutilazioni genitali femminili, grazie all’impegno del Partito Radicale e di Emma Bonino, allora sono certo che l’Italia potrà farcela anche questa volta.